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Artisti post-russi:
cosa significa essere un artista
proveniente da uno stato
terrorista?

Alexander A.
BURGANOV

Artisti post-russi: cosa significa essere un artista proveniente da uno Stato terrorista?

 

Pochi mesi prima di scrivere questo saggio, sono emigrato dalla Russia, lasciando la mia casa, il mio lavoro di curatore in una galleria d'arte e un posto come docente all'Università di Mosca. Centinaia di migliaia di miei compatrioti e molti colleghi hanno fatto lo stesso. In questo articolo voglio raccontare come si sentono le persone la cui patria è diventata uno Stato terrorista e come l'identità di queste persone si intrecci con la cultura intellettuale contemporanea. Più specificamente, questo saggio riguarda gli artisti post-russi. Definirei un artista post-russo come uno che trasforma la propria nazionalità e si concentra sui temi della perdita, del nomadismo e dell'identità. Questo non significa che un artista post-russo abbia necessariamente lasciato la Russia, anche se in un'ottica di ricerca è spesso così, perché non possiamo intervistare o menzionare nelle pubblicazioni coloro che rimangono in Russia per non esporli a pericoli.

Dietro al processo che sto descrivendo, vedo una tendenza internazionale, non solo russa. Gli intellettuali rifugiati provenienti da Cina, Iran, Afghanistan e Messico stanno influenzando notevolmente il panorama culturale globale. Tuttavia, poiché sono originario della Russia e conosco bene la scena artistica locale, dove ho lavorato per 10 anni, mi sembra appropriato analizzare questo processo culturale usando il mio Paese d'origine come esempio. Inoltre, l'immigrazione dalla Russia non è avvenuta solo a causa del forte declino economico, della minaccia per la vita o della mancanza di risorse, ma anche per motivi culturali e filosofici, per il rifiuto di quelli che alcune strutture di potere chiamano "valori tradizionali", qualunque essi siano: patriarcato, nazionalismo, religione radicale, stato autoritario o disprezzo per i diritti umani.

La partenza di un gran numero di artisti dalla Russia può diventare un fenomeno importante, capace di influenzare l'espressione artistica di un'intera generazione. La storia dell'arte è piena di nomi di artisti russi emigrati in Occidente. Vasily Kandinsky, Mikhail Larionov, Marc Chagall, poi Erik Bulatov, Oscar Rabine, Ilya Kabakov e molti altri. L’ondata migratoria di oggi è più grande di tutte le precedenti. Che segno lascerà questo esodo nel mondo della cultura contemporanea?

Nell'ottobre del 2022, un tribunale di Mosca ha condannato l'artista 22enne Pavel Krysevič a 5 anni di carcere per un'azione contro la repressione politica in Russia (Trimel, 2022). È importante tenere presente che Pavel è nato e ha vissuto tutta la sua vita sotto il regime di Vladimir Putin e non ha mai avuto l'opportunità di votare in nessuna elezione. Le ultime elezioni presidenziali in Russia si sono svolte quando era ancora minorenne. Non è responsabile o colpevole dei crimini della Russia, ne è una vittima. Ora è in carcere.

Molti altri artisti hanno cercato di influenzare la società del loro Paese e sono stati colpiti per questo dalle autorità russe. Nika Nikulšina, Julija Cvetkova, Danila Tkačenko, Aleksandra Skočilenko, Darija Serenko, Maxim Evstropov e molti altri. Alcuni di loro sono ora in prigione, altri hanno lasciato il Paese. Prendiamo dunque coscienza di un fatto molto sconfortante: dieci anni dopo il primo processo alle Pussy Riot, molte giovani artisti hanno avuto la vita spezzata nelle arene della protesta pacifica e dell'attivismo culturale, ma la società russa non è cambiata. Per questo motivo molti russi lasciano il Paese e diventano volontariamente rifugiati.

Voglio fare una precisazione: un artista, soprattutto se non si occupa di arte di protesta, non è un attivista politico, la sua arte non può essere ridotta alla produzione di slogan politici. Il fatto stesso che queste persone siano diventate volontariamente rifugiati costituisce una dichiarazione politica. Dopodiché, per come la vedo io, il compito degli artisti emigrati è essere sinceri e parlare di come si sentono in questo momento e, cosa più importante per noi come curatori, di cosa sta accadendo alla loro identità di gruppo.

Secondo varie stime (FSB, Ministero degli affari interni russo, Associazione dei tour operator russi e inchieste giornalistiche), da centinaia di migliaia a diversi milioni di persone contrarie al regime di Putin e ai suoi valori hanno lasciato e continuano a lasciare la Russia in seguito all'invasione dell'Ucraina del 24 febbraio 2022 (Haseldine, 2022). Purtroppo, la Russia è solo una parte del problema globale. Il numero di rifugiati nel mondo ha raggiunto i 100 milioni nel 2022 (UNHCR, 2022), tra cui scienziati, giornalisti, artisti, ecc. Alcuni vengono assimilati in altre società, altri diventano nomadi globali. Il fenomeno dell'assimilazione può essere visto come una sovrapposizione tra nomadismo globale, rifugiati, emigrazione politica e il fenomeno dei bambini di terza cultura. Per brevità, mi riferirò a tutti coloro che hanno lasciato la loro patria in circostanze simili come rifugiati.

Gli artisti sono tra i pochi che possono esprimere pubblicamente le proprie esperienze in forma artistica a nome dei loro connazionali, che provano le stesse cose ma non possono essere ascoltati. Credo che gli artisti e i curatori siano in grado di influenzare in maniera piuttosto decisiva ciò che accade all'identità di grandi gruppi di persone.

I primi artisti che vorrei menzionare sono Sergej Ovsejkin e Grigorij Konik. Il primo è ben noto in Russia per i suoi graffiti su larga scala. Nell'estate successiva all'invasione russa dell'Ucraina, Sergej e Grigorij hanno realizzato un enorme graffito a Tel Aviv. Il graffito diceva:"Noi non siamo lui", che è diventato lo slogan degli immigrati russi e ha ricevuto migliaia di repost sui social media (Ovsejkin, 2022). Grigorij Konik in seguito ha dichiarato: “Non sono d'accordo con le decisioni del governo e non riconosco Putin né come presidente, né come persona” (The Flow, 2022).

Poco dopo, Pavel Otdelnov è riuscito a preparare una grande mostra personale a Londra. La collezione di opere per questa mostra era permeata da un senso di spaesamento tipico degli emigrati. Una delle mie opere preferite raffigura un enorme deserto innevato e persone nude e isolate in piedi nella neve fino alla cintola. Si chiama Generazione  (Howe, 2022).

Nello stesso periodo, Konstantin Benkovič ha presentato il suo progetto Valigia, realizzato con il supporto ufficiale dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ed esposto al festival Fringe  a Edimburgo nel 2022 (Cameron, 2022). La valigia è fatta di barre d'acciaio, che ne fanno sostanzialmente una gabbia. Questo lavoro parla di libertà forzata, di libertà come non libertà, e penso che questa immagine permetta allo spettatore di rendersi conto della differenza tra viaggio ed esilio.

Le immagini archetipiche della cultura russa riacquistano la propria incisività. L'immagine di una casa in fiamme nel progetto grafico di Anastasija Lopuchina, ad esempio, ci rimanda ai film di Andrej Tarkovskij. Ho sempre pensato che in Tarkovskij queste immagini fossero una metafora mistica, ma ora ricordo che anche lui ha vissuto la guerra e l'immigrazione. Anastasija è emigrata un po' prima dell'attuale guerra e ora lavora a New York. La sua ultima serie di dipinti è stata esposta nell'autunno del 2022 a Parigi e tratta della dolorosa esperienza dell'integrazione in una nuova società. (Burganov, 2022).

In una società in cui tutti i canali d'informazione sono sequestrati dal potere autoritario, la voce di chi non è d'accordo non può essere sentita. Ciò è ben espresso nella performance "Scampanio" di Varvara Grankova, in cui l'artista si trova sul campanile di una chiesa ortodossa, mentre le campane suonano, e urla a squarciagola, ma la sua voce è soffocata dallo scampanio (Grankova, 2022).

Una delle opere più laconiche che illustrano i processi che sto esplorando è la parola "Russia" cancellata di Alisa Yoffe (Yoffe, 2022), un'immagine di profonda disillusione nei confronti del Paese. Altri suoi disegni raffigurano i pestaggi della polizia sui manifestanti civili, esperienza di molti di coloro che sono fuggiti dalla Russia. Alisa è un'artista brillante, le cui mostre personali si sono tenute in Germania, Paesi Bassi e Svezia. Ha partecipato a numerose biennali, tra cui un programma parallelo alla 55a Biennale di Venezia.

Andrej Kuzkin ha scelto la strategia opposta: non rinnegare la Russia, ma mostrare quanto sia difficile liberarsene. La sua mostra personale, inaugurata nel gennaio 2023 a Parigi, dimostra che si possono modellare i tradizionali giocattoli da prigione russi anche con la baguette francese: non c'è alcuna differenza. E che anche se il paesaggio esterno cambia, tu rimarrai sostanzialmente lo stesso (Spirenkova, 2023).

La trasformazione espressiva di una maniera artistica personale può essere invece osservata nel lavoro di Slava PTRK. Slava ha creato serie di street art ampie e complesse. Ha anche organizzato il famoso festival russo di street art Carte Blanche (Pertsev, 2021). Tuttavia, la sua prima opera dopo l'immigrazione si è rivelata molto diversa: un piccolo graffito su un pezzo di marciapiede dimenticato in un terreno libero. L'iscrizione recitava: "Cosa ci faccio qui?" (Ptrk, 2022), una domanda che ogni immigrato che si trova improvvisamente nel mezzo di un Paese straniero si pone quando non sa come andare avanti.

Questi pochi nomi e opere d'arte sono solo la punta dell'iceberg. È impossibile stabilire il numero esatto di artisti che hanno lasciato la Russia nell'ultimo anno. È innegabile però che cresce ogni giorno.

L'ultimo esempio che voglio apportare non è un'opera d'arte, ma alcune parole della mia corrispondenza personale con l'artista Kajchan Salachov. La sua famiglia vive a Mosca da diverse generazioni. È nato a New York, ma è cresciuto a Mosca e poi ha lasciato di nuovo la Russia. Quando stavo lavorando al progetto “Artisti post-russi”, gli ho chiesto se potevo citarlo nel mio articolo. Mi ha risposto: "Non sono né un artista russo né un artista post-russo. Ho lo status di agente straniero intergalattico in molte galassie".  La sua risposta è una chiara espressione di post-nazionalismo e cosmopolitismo. La corrispondenza tra artista e curatore è parte imprescindibile della comprensione del rapporto in continua evoluzione tra opere d'arte e attualità.

L'emigrazione politica non significa diventare una vittima o semplicemente cercare un posto più confortevole in cui vivere. Al contrario, costituisce un rifiuto di essere vittima e il risultato di un profondo cambiamento di prospettiva. Questo cambiamento può essere simbolicamente rappresentato da un Isacco ribelle che rifiuta di essere sacrificato, uccide Abramo e lascia la propria tribù. Molto spesso l'emigrazione politica è accompagnata dalla rottura dei legami, dalla perdita della casa e da conflitti familiari irreparabili. Si può persino bruciare la casa dei propri padri per liberarsi dal peso della tradizione, ma sarà poi su di noi che andrà a ricadere il peso della perdita di terra, di radici, di padre e di sicurezze. Cosa diventiamo se rinunciamo alla nostra nazione?

Eppure, molti artisti lasciano la Russia, non vogliono essere associati alla Russia, come Kajchan Salachov, o cancellano la parola "Russia", come Alisa Joffe. Molti di loro non vogliono più essere associati al loro Paese d'origine. D'altra parte, non hanno un'altra nazionalità a cui aggrapparsi, perciò definisco questo gruppo come artisti post-russi. Si può essere accettati nella società di oggi senza un'identità nazionale? Possiamo trovare un altro tipo di identità di gruppo al posto di quella nazionale?

Siamo entrati in un'epoca in cui l'identità è diventata fluida. Ad esempio, la scelta dell'identità di genere è diventata un diritto umano e il crescente nomadismo dei lavoratori culturali globali influisce anche sull'identità nazionale individuale. Ma la società, i governi e le istituzioni impongono a tutti di appartenere a un Paese e di avere una nazionalità.

La questione, oggi, è se gli artisti contemporanei, in particolare quelli provenienti dalla Russia, abbiano il diritto di scegliere o ricostruire la propria identità visiva e nazionale allo stesso modo in cui sono liberi di farlo con la propria identità di genere. Ciò può rimandare agli ideali europei di post-nazionalismo. Il post-nazionalismo è un processo in cui i media e l'industria dell'intrattenimento diventano globali e contribuiscono alla formazione di tendenze e opinioni su scala sovranazionale. Qualsiasi identità di gruppo, compresa quella nazionale, è solo un costrutto sociale, solo un mezzo, mai un fine. Grazie alla teoria postcoloniale, comprendiamo le persone che vogliono proteggere la propria cultura nazionale dalla globalizzazione occidentale. Ma ce ne sono altre la cui esperienza suggerisce che la retorica dell'antiglobalizzazione può essere usata come paravento per il terrorismo di Stato e le violazioni dei diritti umani.

Utilizzando la Russia come esempio, ho cercato di dimostrare che da un punto di vista filosofico il conflitto nelle pratiche artistiche degli artisti dissidenti e degli emigrati politici risiede nella loro frustrazione per l'incapacità di influenzare la società nel proprio Paese d'origine. La loro trasformazione, spesso dolorosa, si traduce in un'identità mutevole e vibratile. L'antipatriottismo, il nomadismo e la ricerca di percorsi pacifici di globalizzazione culturale sono certamente più vicini all'identità di gruppo di questi artisti che qualsiasi forma di nazionalismo. Forse l’opera d'arte più importante di coloro che sono emigrati nel 2022 e di coloro che sono rimasti nel mondo culturale sotterraneo in Russia non sarà un oggetto, ma un tipo specifico di identità post-nazionale.

Alexander A. Burganov, Paris

 

Bibliografia 

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