Testi proibiti nelle città russe
Arseniy PETROV
Visti dall’esterno, a molti i russi sembrano inerti. Il proseguire di picchetti individuali, le migliaia di arresti al mese, le grosse multe e le condanne a 7 anni di carcere solo per aver pronunciato la parola «guerra» non bastano a persuadere critici ucraini e occidentali. In realtà, la società russa tenta di parlare attraverso azioni «partigiane», ad esempio affiggendo di soppiatto scritte contro la guerra, utilizzando testi di scrittori classici sui cartelli durante le manifestazioni o lavorando sulla parola nelle opere d’arte figurativa. La tragedia della guerra ha unito ancor più saldamente tra loro l’arte e la vita rispetto ai tempi di pace.
La resistenza visuale
«Più volte alla settimana a tarda sera o di notte affiggo scritte contro la guerra in giro per la città. È pericoloso. Vivo in una grande città, che non è né Mosca né San Pietroburgo. In città si sono moltiplicati poliziotti e soldati. Anche le videocamere sono moltissime, davanti ai negozi, alle case, alla maggior parte degli enti pubblici. In primavera, dopo le dimostrazioni di protesta, nelle piazze e nelle vie principali, nei parchi della città le autorità hanno installato videocamere supplementari, in modo da poter calcolare gli attivisti».
Così descrive la sua vita nel luglio 2022 una donna russa. Che non sia la sola, lo testimoniano le migliaia di fotografie di volantini o scritte contro la guerra pubblicate sul suo popolare canale Telegram dal giornalista Roman Super, o da altre fonti. Anche quando queste scritte e disegni vengono strappati dai funzionari dei servizi comunali, la loro vita continua attraverso la pubblicazione e il dibattito sui social. D’altro canto, negli ultimi giorni siamo testimoni del dal fatto che le autorità hanno iniziato a punire sempre più duramente ogni forma di agitazione di strada, mentre l’impunibilità dei poliziotti conduce a dorme di vera e propria violenza. Così, il 26 settembre in un distretto di polizia di Mosca è stata picchiata l’attivista Dar’ja Ivanova, arrestata per aver attaccato volantini: l’hanno tirata per i capelli, soffocata, presa a calci.
Il contenuto di questi scritti e segni varia: si va dagli innocui asterischi e puntini con cui si sostituiscono i termini incriminati (si viene fermati e multati semplicemente per aver digitato *** *****), fino all’uso della lettera Z per formare la svastica nazista. Molte concise scritte sono evidentemente volte a far riflettere su ciò che sta accadendo: «Quanti ne sono già morti?», «Ma i russi vogliono la guerra?», «La guerra colpirà tutti». Il contesto rafforza l’effetto della comunicazione, ad esempio nei cartelli affissi da aderenti alla Resistenza femminista contro la guerra vicino agli ospedali e ai reparti di maternità: «Non hai messo al mondo un figlio per vederlo andare in guerra».
Il formato della propaganda dei singoli va da piccoli adesivi che hanno l’aspetto di cartellini dei prezzi nei negozi o degli annunci privati che si trovano per strada, fino a pannelli di grandi dimensioni. Ad esempio, ne è apparso uno il 22 agosto sull’edificio abbandonato di un ospedale nel centro di Ekaterinburg: la laconica scritta «MARIUPOL’» sullo sfondo di macchie di sangue, che costringe in qualche modo gli abitanti a scontrarsi con lo spettro della città ucraina distrutta e delle sue vittime. La polizia non è ancora riuscita a trovare i «criminali» che hanno commesso il fatto, ma ha già fermato l’attivista che il 24 agosto ha lasciato dei volantini pacifisti vicino a una fontana di Mosca e ne ha colorato i getti di rosso sangue. Per «atto di vandalismo commesso per motivi di odio o ostilità» rischia 3 anni di prigione.
Opporsi alle armi attraverso scritte può sembrare ingenuo, ma in realtà risponde a degli obiettivi: diventa un’importante forma di lotta contro la propaganda e di sostegno a chi dissente dalla linea ufficiale. Lo scopo delle autorità non è semplicemente quello di far piazza pulita di ogni possibile critica alla guerra, ma anche di creare l’illusione che essa sia sostenuta da tutto il popolo. Su questo sfondo, chiunque si opponga alla guerra in Russia conosce bene il senso di disperazione e di impotenza, oltre che di solitudine nell’opporsi al male. Invece, la presenza di segni visibili di dissenso nello spazio sociale vale appunto a sostenere quelli a cui sembra di essere da soli a pensarla così, e mostra a chi è dubbioso che esistono convizioni radicalmente opposte all’ideologia ufficiale.
Perché piange Lev Tolstoj
Quando il 15 marzo Anastasija Parškova è stata fermata perché aveva un cartello con la scritta: «Sesto comandamento. Non uccidere», molti sono rimasti sconvolti. Poi abbiamo cominciato a non meravigliarci più di niente, vedendo virtualmente sul banco degli imputati, insieme all’autore delle Tavole dell’Alleanza, scrittori russi come Nekrasov, Lermontov, e naturalmente Tolstoj.
Negli ultimi decenni Lev Tolstoj non era più sentito dalla società russa come un autore attuale e rappresentativo. La sua posizione sembrava troppo moralista, il suo linguaggio arretrato rispetto alle ricerche d’avanguardia del XX secolo. Adesso le citazioni di questo classico contro la guerra sono diventate di un’attualità così scottante che il potere ne ha fatto un emblema di ciò che si deve tacere. E non è solo la parola «guerra» a essere vietata, ma la pubblicazione di citazioni di Tolstoj e di altri autori. Per questo motivo sono stati fermati Aleksej Nikitin (24 marzo), Ljubov’ Summ (31 marzo), Konstantin Goldman (10 aprile), e altri ancora.
Scopo di questi dimostranti era indicare che la retorica militarista di Putin e del suo entourage non si volge solo contro l’«Occidente» in blocco, ma anche contro la morale, il senso comune, e più in genere contro quanto di meglio produce la cultura russa. Il potere l’ha pienamente confermato non solo attraverso i fermi di polizia, ma anche con il linguaggio di condanne che sembrano realmente stilate dai giudici nello stile di Orwell, Kafka, Platonov.
«In base ai fatti storici Lev Nikolaevič Tolstoj è una figura storica che rappresentava un cosiddetto “specchio della rivoluzione”, ed è fatto notorio che nelle opere e negli articoli pubblicistici dell’autore venisse duramente criticato il regime vigente, in particolare per la giustificazione della violenza di fronte a deflagrazioni sociali. Di conseguenza, le azioni del cittadino Nikitin A.P., vanno considerate un appello al rovesciamento del potere attuale, come pure alla sequella dell’ideologia di Tolstoj L.N.».
«Il contenuto della propaganda visuale del manifesto esprime una posizione negativa nei confronti dell’autorità vigente nella Federazione Russa, ed esattamente nei confronti dell’operato del Comando Supremo delle Forze armate della FR».
«Stazionava... con in mano il libro di Lev Tolstoj Guerra e pace come mezzo di propaganda visuale, violando in tal modo l’art. 8-2, art. 3 54-FZ del 19.06.2004, “Su riunioni, raduni, dimostrazioni, cortei e picchetti”».
Tutto questo trova una kafkiana prosecuzione nel fatto che il 22 giugno, con la partecipazione del capo dei Servizi segreti Sergej Naryškin, e dell’ex ministro della cultura e ora uno degli ideologi della propaganda putiniana Vladimir Medinskij, sia stato solennemente istituito il «Premio internazionale per la pace Lev Tolstoj»: uno sputo in faccia alla società che comprende come stanno le cose, e a Tolstoj, che senza volerlo si trasforma in agente della Russia belligerante.
Sempre in questi mesi editori privati hanno pubblicato a Mosca il libro 100 motivi per cui piange Lev Tolstoj. Così pure si è svolta una mostra omonima, dove a fotografie dello scrittore sono state applicate gigantesche lacrime. Tolstoj è relegato in isolamento e biasimato non solo in Russia, ma anche fuori dei suoi confini. Non solo agli scolari della Russia, ma anche a quelli dell’Ucraina sarà vietato nel prossimo futuro approfondire il messaggio di Tolstoj, principale pacifista della letteratura russa. L’importazione di opere di letteratura russa è vietata dal parlamento ucraino. E contemporaneamente è stata soddisfatta la richiesta di uno dei viceministri dell’istruzione e della scienza ucraina, che fosse tolto dal corso di letteratura Guerra e pace, il libro russo più avverso alla guerra: «Roba del genere in Ucraina non verrà studiata, vale a dire tutto ciò che celebra le truppe degli “orchi”». È come se i libri di Heine non venissero bruciati solo in Germania, ma tolti dal patrimonio culturale mondiale. I sentimenti degli abitanti dell’Ucraina sono comprensibili, ma la cosa tremenda in questa situazione è che una simile condanna fa il gioco del regime totalitario, che dall’interno abroga, vieta, distrugge tutto il meglio della cultura, oppure lo lascia ma travisandolo.
Vivere del passato vs Future
Con la guerra molti artisti, in primo luogo esponenti della street art, hanno cominciato a fare un nuovo uso delle scritte nelle loro opere. Di per sé, l’accostamento di scritte e figure nell’arte russa ha una lunga storia: lo vediamo nelle antiche icone e nella pittura d’avanguardia del XX secolo, che per molti versi le imitava. Dopo la rivoluzione del 1917 gli artisti d’avanguardia si misero al servizio della nuova ideologia e per chiarezza aggiungevano slogan ed eloquenti segni visuali. A tutt’oggi nella cultura visiva della Russia le scritte nello spazio cittadino vengono recepite come un ordine impartito dal potere al popolo, e in questo hanno buon gioco gli artisti.
Il 12 giugno a Ekaterinburg il noto artista locale Timofej Radja ha montato illegalmente una sua opera al posto di un’iscrizione sovietica, di cui si è conservato solo l’emblema. Invece di «Il nostro fine è il comunismo!», è apparso un ben più laconico «Si vive del passato» (smantellato di lì a un giorno). L’amara ironia celata in queste semplici parole riproduce fedelmente l’assenza di un quadro del futuro nell’attuale discorso politico della Russia. La guerra ha distrutto la stabilità della visione del mondo e delle possibilità di futuro sviluppo, e al contrario la propaganda istiga la gente facendo leva esclusivamente sulla coscienza della superiorità storica della Russia e sull’importanza delle sue passate vittorie militari. In elezioni fittizie il principale concorrente e immancabile vincitore non si degna di partecipare a dibattiti politici e di illustrare le sue finalità e i mezzi per raggiungerle. Un’intera generazione di studenti è nata e cresciuta avendo Putin come costante continua. Il governante eletto dalle persone della vecchia generazione come ritorno alla stabilità, per i loro eredi è diventato l’affossatore delle speranze di sviluppo e progresso. È di quest’anno una nuova serie di quadri di Pavel Otdel’nov, in cui tra steppe innevate vediamo figure umane sparse, Putin e, soprattutto, la parola Future quasi scomparsa. Una distesa sconfinata, impersonale, neve, indeterminatezza temporale, solitudine umana cancellano la speranza, mentre è proprio intorno ad essa che si forma qualsiasi immagine del futuro.
Anche all’opera di Ffchw, artista di strada di Perm’, le autorità hanno concesso di esistere per un solo giorno, tra il 2 e il 3 agosto. Nella sua opera Bilancio un’insistente sequela di divieti assume contemporaneamente toni di rap e di comandamenti biblici: «Là non andare, qui non devi stare, / questo non berlo, / là non sederti, e non star seduto qui, / questo non mangiarlo, questo non ascoltarlo, / questo non accenderlo, non comprarlo, / questo non dirlo, e con quello non andare a letto, / questo non guardarlo, questo non portarlo, / non offendere, venera, / questo non disegnarlo, per lui non votare, / questo sostienilo, / questo non scriverlo, questo non firmarlo, / non obiettare, e quello rispettalo, / sottomettiti, prega, genuflettiti, / chinati fino a terra, / non diffondere, non difendere, / non ragionare, non alzare la cresta, / non pensare, non farti venire delle idee, / metti figli al mondo, non disturbare, / paga, falla finita, / e stai zitto e buono». I divieti e le umilianti ingiunzioni messi insieme presentano un concentrato della vita legislativa del parlamento russo e la caratteristica principale delle relazioni tra Stato e cittadino nella Russia contemporanea. L’apparato governativo, che per principio dovrebbe essere elettivo e al servizio del popolo, si è trasformato in un Leviathan totalitario, che pervade con i suoi decreti tutti gli aspetti della vita umana.
Direttamente collegato alla tematica bellica è lo slogan dell’art group «Partito dei morti», contro i membri del quale in settembre è stata aperta una causa penale. All’inizio della guerra avevano manifestato a Pietroburgo accanto ai monumenti dei caduti nella seconda guerra mondiale tenendo in mano i nome dei morti. Secondo il loro intendimento, il potere ha usurpato il diritto di parlare a loro nome – si tratti degli eroi di guerra o del «grande passato», usando i loro nomi per benedire la guerra e fare propaganda patriottica. Le loro scritte echeggiano gli appelli pacifisti dei monumenti sovietici, creando la sensazione di un discorso condiviso da più generazioni: «[I vivi] Non hanno abbastanza cadaveri», «I morti non hanno bisogno della guerra», «I russi non seppelliscono i russi», «Non lasciamo i nostri (solo i loro cadaveri)».
È ancora presto per tracciare un bilancio della resistenza visuale in Russia, possiamo solo delinearne frammentariamente i contorni. In Ucraina è apparso il progetto di archiviare quadri, grafica, manifesti nati in questi tragici giorni. Alcuni di essi si susseguono a ciclo continuo nella mostra Piazza Ucraina alla Biennale di Venezia. Purtroppo, un’iniziativa del genere in Russia per ora non esiste. E noi non sappiamo che effetto abbiano sulla società le scritte affisse per strada o le opere di singoli artisti. Ma siamo assolutamente certi che in esse si rispecchia la profonda tragica riflessione della parte migliore della società russa davanti a ciò che sta succedendo nel Paese.
Scritto con il supporto di Scholars at Risk – Italia
(Università di Trento, coord. Ester Gallo)